Testi discussi a lezione

Lucia Consuelo Colella Testi discussi a lezione

1) Tucidide, Storie I 4; 8: ‘Minosse infatti fu il più antico di quanti conosciamo per tradizione ad avere una flotta e a dominare per la maggior estensione il mare ora greco, a signoreggiare sulle isole Cicladi e a colonizzarne la maggior parte dopo aver scacciato da esse i Cari e avervi stabilito i suoi figli come signori. Ed eliminò per quanto poté la pirateria del mare, poiché meglio giungessero i tributi. […] Pirati erano soprattutto gli isolani, che erano Cari e Fenici: costoro infatti abitavano il maggior numero delle isole. Ve ne è la prova: quando gli Ateniesi purificavano Delo nel corso di questa guerra [la Guerra del Peloponneso] e furono distrutte tutte le tombe che erano nell’isola, più della metà di esse si vide che apparteneva a dei Cari, come si riconobbe dalla foggia delle armi sepolte insieme al morto e dal modo in cui ancor oggi li seppelliscono. Ma al crearsi della flotta di Minosse, la navigazione tra un popolo e l’altro si sviluppò (i malfattori furono da Minosse scacciati dalle isole tutte le volte che lui ne colonizzava gran parte) e coloro che abitavano presso il mare, acquistando maggiori ricchezze, vivevano con maggior sicurezza e alcuni si cinsero anche di mura, come era naturale per persone divenute più ricche’. (Trad. F. Ferrari)

2) Apollodoro, Biblioteca III 15, 8: ‘Quando, poco dopo, Minosse ebbe il controllo sul mare, fece guerra ad Atene con una flotta; conquistò la città di Megara, governata da Niso, figlio di Pandione; uccise Megareo, figlio di Ippomene, venuto da Onchesto in soccorso di Niso. Niso stesso morì, a causa del tradimento di sua figlia. Niso aveva una ciocca di capelli color porpora in mezzo al capo; un oracolo aveva rivelato che il re sarebbe morto se questa fosse stata recisa. Scilla, sua figlia, si invaghì di Minosse e tagliò la ciocca a suo padre; ma Minosse, impadronitosi della città, legò la fanciulla per i piedi alla prua della nave e la affogò. Ormai il conflitto durava da tempo e Minosse non riusciva a conquistare Atene; così pregò Zeus di dargli vendetta sugli Ateniesi, e la città di Atene fu devastata dalla carestia e da una pestilenza. Gli Ateniesi, seguendo un antico oracolo, come prima cosa sgozzarono, sulla tomba del ciclope Geresto, Anteide, Egleide, Litea e Ortea, le figlie di Giacinto (Giacinto, loro padre, proveniva da Sparta e si era stabilito ad Atene). Ciò però non servì; chiesero allora un altro oracolo per sapere come potersi liberare dalla calamità, e il Dio rispose che dovevano pagare il debito che avevano con Minosse, nella forma che costui avesse imposto. Inviarono dunque messaggeri a Minosse per domandargli cosa volesse per ritenersi vendicato: il re ordinò di inviare sette fanciulli e sette fanciulle, senza armi, perché fossero dati in pasto al Minotauro’.

3) Aristot., Politica III 1279a-b: ‘Solitamente denominiamo regalità quella, tra le monarchie, che ha per scopo l'interesse comune, e aristocrazia il governo di un numero ridotto piuttosto che di un singolo, sia perché i migliori detengono il potere, sia perché il potere di questi ultimi ha per scopo il bene superiore della polis e dei cittadini; quando una massa governa la polis mirando all’interesse comune, questo governo prende il nome (comune a tutte le costituzioni) di politèia, e a ragione (è, infatti, possibile che un singolo o un numero ridotto si distingua per virtù, ma è difficile che un gran numero miri alla perfezione in tutte le virtù, e non, tutt’al più, in quella militare: quest’ultima, infatti, ha sede nella massa e perciò in questa costituzione la massima autorità è detenuta dalla massa dei combattenti, e solo quelli che posseggono le armi partecipano al governo).

Le rispettive deviazioni dalle costituzioni elencate sono la tirannide (deviazione della regalità), l'oligarchia (deviazione dell'aristocrazia), la democrazia (deviazione della politeia). La tirannide è una monarchia che tende all'interesse del re; l'oligarchia ha per scopo l'interesse dei più ricchi; la democrazia l’interesse dei poveri; tuttavia nessuno di questi regimi ha per scopo quello di servire l'interesse comune’.

4) Erodoto, Storie:

‘Questa è l’esposizione delle ricerche (= della historia) di Erodoto di Alicarnasso, affinché gli eventi degli uomini non possano venir ridotti all’oblio per il trascorrere del tempo, né le azioni grandi e mirabili, dei Greci e dei barbari, rimangano senza gloria (= aklea, senza kleos); e inoltre per rendere evidenti le cause per cui essi – vale a dire Greci e barbari – vennero a combattersi reciprocamente’ (Trad. M. L. Arduini)

[…] ‘I dotti persiani affermano che i responsabili delle rivalità furono i Fenici’. [I Fenici arrivano ad Argo per ragioni commerciali, ma dopo qualche giorno delle donne – tra le quali Io, figlia del re Inaco – si avvicinano ai marinai. Io viene catturata e portata in Egitto]. ‘I Persiani narrano che Io arrivò in Egitto in questo modo – e non come affermano i Greci – e che questo costituì l’inizio delle offese. Essi dicono inoltre che in seguito alcuni greci, dei quali non sono in grado di riferire il nome, approdati a Tiro in Fenicia, rapirono Europa, la figlia del re – e questi potrebbero essere stati Cretesi’.

[…] ‘Quanto a me, riguardo a questi fatti non voglio dire che essi si svolsero in questo modo o in un altro; tuttavia io stesso so (= oida, ‘so per aver visto’) chi [= Creso, re di Lidia] per primo diede inizio alle ostilità contro i Greci e, dopo averlo indicato, continuerò nella narrazione trattando delle città degli uomini, indistintamente di quelle piccole e di quelle grandi’.

5) Tucidide, Storie:

‘Tucidide di Atene scrisse la storia della guerra tra Peloponnesiaci e Ateniesi, come combatterono gli uni contro gli altri, cominciando dal primo scoppiare del conflitto, poiché si aspettava che esso sarebbe stato grande e il più degno di fama tra quelli precedenti. Lo deduceva dal fatto che entrambe le parti arrivarono alla guerra essendo al massimo della propria potenza in ogni apparato e tutto il resto del mondo greco si unì agli uni o agli altri, chi subito, chi in seguito […]. I fatti accaduti prima di questi e quelli ancora più antichi non era possibile conoscerli con certezza, ma ritengo che non siano stati importanti, basandomi sugli indizi a cui, dopo un’indagine molto lunga, mi trovo a prestar fede’.

[…] ‘Le antiche vicende, dunque, risultano, alle mie ricerche, tali; difficile è certo farsene un’idea esatta, pur vagliando, in ordine, ogni testimonianza. Poiché gli uomini accettano gli uni dagli altri, senza alcuna ricerca critica, le voci che corrono sui fatti precedenti, anche se interessano il loro paese. [...] Era ben difficile la ricerca della verità perché quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia risulterà, ad udirla, meno dilettevole perché non vi sono elementi favolosi; ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di quanto in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l’umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l’eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara di un giorno’. (Trad. L. Annibaletto)

[…] ‘Io ritengo che la causa (prophasis) più vera, benché essa sia la meno confessata a parole, sia che gli Ateniesi, diventando potenti e incutendo timore ai Lacedemoni, li costrinsero a far guerra; tuttavia le colpe (aitia = ‘causa’, ‘colpa’) di entrambi dichiarate apertamente, per le quali dopo aver rotto i patti giunsero alla guerra, furono queste [il conflitto tra Corcira e Corinto; le vicende di Potidea]’.

6) Livio, Ab urbe condita (Dalla fondazione della città) I 6, 3-7, 3: ‘[…] Romolo e Remo furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi in cui erano stati esposti ed allevati. Sovrabbondava infatti la popolazione degli Albani e dei Latini, e ad essi per di più si erano aggiunti i pastori, sì che tutti senz’altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola Lavinio, in confronto alla città che si voleva fondare. S’insinuò poi tra queste considerazioni quel male ereditario che è la cupidigia di regnare, e in conseguenza di ciò nacque l’indegna contesa originata da motivi piuttosto futili. Poiché erano gemelli, e non valeva dunque come criterio risolutivo il rispetto dovuto all’età, affinché gli dèi sotto la cui protezione erano quei luoghi indicassero con segni augurali chi doveva dare il nome alla nuova città, chi dopo averla fondata doveva regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici, occupò come luogo d’osservazione il Palatino; Remo l’Aventino.

Si dice che a Remo per primo apparvero come segno augurale sei avvoltoi; e poiché, quando ormai l’augurio era stato annunziato, se n’erano offerti alla vista di Romolo il doppio, le rispettive schiere li avevano acclamati re entrambi: gli uni pretendevano d’aver diritto al regno per la priorità nel tempo, gli altri invece per il numero degli uccelli. Venuti quindi a parole, dalla foga della discussione furono spinti alla strage; fu allora che Remo cadde colpito nella mischia. È più diffusa la tradizione secondo la quale Remo, in atto di scherno verso il fratello, abbia varcato con un salto le nuove mura: che per questo egli sia stato ucciso da Romolo infuriato, il quale, inveendo anche con le parole, avrebbe aggiunto: “Così, d’ora in poi, perisca chiunque altro varcherà le mie mura!”. Pertanto Romolo ebbe da solo il potere; fondata la città, essa ebbe nome dal suo fondatore. Innanzitutto fortificò il Palatino, dov’egli era stato allevato. Offrì sacrifici agli altri dèi secondo il rito albano, ad Ercole secondo quello greco, così com’erano stati istituiti da Evandro […]’. (Trad. C. Moreschini)

7) Polibio, Storie:

I 1.1-2: ‘[…] Nessun mezzo è più adatto a guidare gli uomini sulla retta via della conoscenza delle vicende del passato […] Tutti [gli storici] senza distinzione con tale elogio hanno dato inizio e posto termine alle loro opere, dichiarando che lo studio della storia è la migliore palestra e preparazione all’attività politica e il ricordo delle vicende altrui è il solo e il più efficace ammaestramento a sopportare con forza i corsi e i ricorsi della fortuna (tyche)’.

I 14: ‘Inoltre […] siamo stati indotti a soffermarci su questa guerra anche dal fatto che gli storici che sembrano averne trattato in modo più attendibile, Filino e Fabio, non hanno esposto la verità in maniera adeguata […], come suole fare chi è innamorato. Filino è animato da tanta parzialità e benevolenza verso i Cartaginesi, che ogni loro atto gli sembra saggio, opportuno, eroico, mentre egli giudica ogni atto dei Romani nel modo opposto; a Fabio accade esattamente l’inverso’. (Trad. A. Storchi Marino)

I 2.2-7: ‘L’argomento che stiamo trattando è grande e genera meraviglia […]. Benché possa sembrare che questi [i Macedoni] abbiano conquistato vasti territori e grande potere, essi lasciarono tuttavia ad altri il predominio su grande parte della terra abitata […]. I Romani, invece, assoggettarono quasi tutta la terra abitata, e instaurarono una supremazia alla quale i contemporanei non poterono resistere, insuperabile per i posteri’. (Trad. A. Storchi Marino)

III 6.1-3: ‘Alcuni di coloro che hanno raccontato le imprese compiute da Annibale, volendo dimostrarci le ragioni per cui scoppiò la guerra tra Romani e Cartaginesi, dichiarano come la prima causa l’assedio di Sagunto ad opera dei Cartaginesi; come seconda, il fatto che attraversarono, contro gli accordi, il fiume chiamato Ebro dagli indigeni. Io invece posso se mai affermare che si tratta degli inizi della guerra, ma non concorderei assolutamente sul fatto che ne sono le cause. […] III 9.6: Dobbiamo infatti credere che la prima causa fu il rabbioso desiderio di rivincita di Amilcare, detto Barca, padre di Annibale. […] III 10.3-6: I Cartaginesi, difatti, avendo ceduto alle circostanze e privi di speranza, si ritirarono dalla Sardegna e accettarono di pagare, oltre all’indennità precedente, altri mille e duecento talenti […]. Perciò questa va vista come la seconda principale causa della guerra […]. Questa va considerata anche come terza causa: parlo della fortuna che arrise ai Cartaginesi nelle azioni in Iberia’. (Trad. M. De Nardis)

8) Res gestae divi Augusti (Le imprese del divo Augusto) 34: ‘Durante il mio sesto e settimo consolato [28-27 a.C.], dopo aver posto fine alle guerre civili, ottenuto il potere supremo per consenso generale, ho trasferito lo Stato dalla mia potestà al potere del Senato e del popolo romano. In virtù dei miei meriti, con un senato-consulto sono stato designato Augusto, le porte dei miei palazzi sono state ornate di alloro a spese pubbliche, una corona civica fissata sulla mia porta e uno scudo d’oro posto nella curia Giulia, che il Senato e il popolo di Roma mi hanno dedicato, secondo la testimonianza fornita dall’iscrizione posta su questo scudo, a motivo del mio valore, della mia clemenza, del senso di giustizia e della devozione. In seguito mi sono fatto garante della situazione politica in virtù della mia autorità, senza peraltro essere investito di un potere maggiore di quello dei colleghi che ho avuto durante le magistrature’. (Trad. L. Grossi, R. Rossi)

9) Lex de imperio Vespasiani:

‘… [a Cesare Vespasiano Augusto] sia lecito concludere trattati con chiunque voglia, come fu lecito al divo Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico.

Che gli sia lecito convocare il senato, presentare una proposta o rigettarla e far passare un senatoconsulto [...] Che nelle elezioni si tenga conto, al di fuori dell’ordine normale, dei candidati che egli avrà raccomandato al senato e al popolo romano per una magistratura, per un potere, per un imperium o per una curatela e ai quali egli avrà dato e promesso il proprio sostegno. [...]

Che egli abbia il diritto e il potere di agire e di compiere tutto ciò che ritenga utile allo stato, conformemente alla maestà delle cose divine e umane, così come fu per il divo Augusto, per Tiberio Giulio Cesare Augusto e per Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. [...]

Che gli atti, le azioni, i decreti, gli ordini da parte dell’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, o da chiunque lo abbia fatto su suo ordine o comando prima della votazione di questa legge, ciò sia legittimato e sia ratificato, come se fosse avvenuto per ordine del popolo o della plebe. [...]’ (Trad. G. Geraci – A. Marcone)