Francesco CRIFO' | Giampaolo Salvi Contributo alla tavola rotonda sull’insegnamento della grammatica XVII Congresso della Società internazionale di Linguistica e Filologia italiana Torino, 22–24 maggio 2024
Francesco CRIFO' Giampaolo Salvi Contributo alla tavola rotonda sull’insegnamento della grammatica XVII Congresso della Società internazionale di Linguistica e Filologia italiana Torino, 22–24 maggio 2024
Devo premettere che quello che dirò non pretende di essere molto originale: non ho nessuna esperienza di insegnamento della grammatica nella scuola e quello che posso dire al riguardo deriva in gran parte dalle mie non troppe letture su questi temi. Naturalmente ho riflettuto su queste questioni e mi sono formato certe idee, ma sono idee in un certo senso di secondo grado, che non derivano da un esame dei fatti concreti (dalla pratica dell’insegnamento), ma da un esame di quanto è stato detto o fatto da altri – oltre che naturalmente dall’idea che mi faccio di come queste cose dovrebbero essere. Molto di quello che dirò, insomma, è già stato detto meglio e più dettagliatamente da altri, per es. nel bel libro di Adriano Colombo e Giorgio Graffi Capire la grammatica.[1]
La mia attività come autore di grammatiche non ha mai infatti riguardato gli aspetti didattici: la Grande grammatica italiana di consultazione,[2] che ho diretto a partire dal II volume con Lorenzo Renzi, e poi anche con Anna Cardinaletti per il III, e di cui ho scritto, da solo o in collaborazione, vari capitoli, è infatti una grammatica scientifica, un tentativo di dare una descrizione la più completa possibile delle strutture grammaticali della lingua italiana e di come queste servano all’espressione delle varie funzioni comunicative.[3] E in questo senso scientifica è anche la Grammatica essenziale di riferimento della lingua italiana, poi ampliata nella Nuova grammatica italiana,[4] scritta con Laura Vanelli, nata originariamente come grammatica di riferimento per l’insegnamento dell’italiano all’estero, e quindi anche questa in primo luogo una descrizione di strutture, e non opera didattica.[5] Aggiungo che la casa editrice ci aveva ripetutamente sollecitato a redigere una versione per le scuole della Grande Grammatica, cosa che non ci siamo mai azzardati a fare, in primo luogo per mancanza di competenza, ma anche perché sarebbe dovuta essere un’opera completamente diversa.
Ma, dopo questa lunga premessa, veniamo al nostro tema: la domanda che dobbiamo porci è prima di tutto qual è il posto della grammatica nell’insegnamento della madre lingua. Ora, lo scopo primario di questo insegnamento è quello di insegnare, come si diceva una volta, “a leggere e a scrivere”, cioè, in termini più elaborati, a capire e interpretare i testi e a redigerne di propri – tenendo conto poi del fatto che anche le altre materie si basano perlopiù su testi e richiedono la redazione di testi. In questo la grammatica non può essere un fine, ma solo un mezzo: non è studiando la grammatica che si impara a leggere e a scrivere, c’è chi sa leggere e scrivere senza avere nozioni esplicite di grammatica – con un paragone spesso usato a questo proposito: a conoscere l’anatomia e la fisiologia dell’occhio, non è che uno ci veda meglio. E in ogni caso la grammatica è solo uno degli aspetti di questo apprendimento, accanto al lessico, ai vari tipi di “adeguatezza” che l’espressione linguistica deve soddisfare (situazione, stile…), alla conoscenza delle possibili varietà (geografiche, sociali…), ecc.
Dovremmo quindi eliminare l’insegnamento esplicito della grammatica dalle scuole? Il linguista (e grammatico) brasiliano Mário A. Perini, nel capitolo introduttivo della sua Gramática descritiva do português, dedica alcune pagine agli scopi dello studio della grammatica.[6] Comincia con l’elencare quali sono gli scopi dell’insegnamento in generale, distinguendo:
- uno scopo pratico: se uno impara a contare e a far le somme, sarà più difficile che lo imbroglino al momento di pagare il conto;
- uno scopo culturale: ci sono delle nozioni che, nonostante non servano nella vita pratica, fanno parte delle conoscenze condivise di una comunità e quindi aiutano in vario modo l’inserimento dell’individuo nella comunità stessa, per es. sapere che la Terra gira intorno al Sole e non viceversa;
- uno scopo formativo: la risoluzione di problemi (in matematica, fisica, ecc.) contribuisce allo sviluppo di una maniera di ragionare indipendente sulla realtà che ci circonda.
E mostra come questi scopi siano validi anche per lo studio della grammatica:
- se uno ha imparato che cos’è un paradigma verbale, sarà anche in grado di usare un dizionario (non cercherà invano la forma cassassero, ma andrà direttamente a cassare);
- la lingua è il più importante mezzo di coesione delle società umane ed è giusto che alcune conoscenze basiche sul suo funzionamento facciano parte della cultura generale della comunità;
- la lingua fornisce un materiale alla portata di tutti per insegnare a ragionare sulla realtà (individuazione di regolarità, relazioni, trasformazioni, ecc.).
Se gli scopi dell’insegnamento grammaticale non sono essenzialmente diversi da quelli delle altre materie, Perini si chiede poi perché la grammatica goda di uno scarsissimo prestigio tra le materie insegnate a scuola,[7] un fatto che potrebbe spingerci a volerla eliminare del tutto. Individua almeno tre ragioni di questo disamore per la grammatica, e di conseguenza indica anche una possibile soluzione per questi problemi. I problemi sono:
- le categorie grammaticali che vengono insegnate non sono sufficientemente giustificate, sembrano imposizioni arbitrarie (e gli insegnanti stessi non sono in genere in grado [cioè preparati a] giustificarle – su questo v. anche più sotto);
- le categorie tradizionali sono spesso scientificamente inadeguate e non formano un sistema coerente;
- il loro apprendimento sembra fine a sé stesso, non si riallaccia ad altri aspetti dell’insegnamento, non serve cioè a niente.
E le soluzioni proposte:
- le categorie grammaticali non devono essere imposte come etichette da imparare e applicare, ma estratte dai dati attraverso un procedimento euristico adeguato che le legittimi;
- le categorie superate della grammatica tradizionale devono essere sostituite da categorie scientificamente più adeguate che formino un sistema coerente;
- l’insegnamento della grammatica deve essere presentato come la descrizione di un aspetto della realtà in cui viviamo (e che quindi vale la pena di conoscere), mostrando anche quali sono le sue relazioni con altri aspetti di questa stessa realtà.
Se vogliamo, l’insegnamento della grammatica dovrebbe assomigliare di più all’insegnamento della fisica, dove (1) le leggi vengono giustificate induttivamente, (2) si insegna la fisica moderna e non la fisica aristotelica, e (3) si cerca di far capire come le leggi della fisica spiegano il funzionamento del mondo in cui viviamo. E non è neanche che la fisica che impariamo a scuola abbia per la maggior parte di noi una grande utilità pratica.
Chi si è occupato del rinnovamento dell’insegnamento della grammatica, queste cose non solo le sa, ma si è impegnato a fornire mezzi didattici o di sostegno adeguati a questi scopi: penso per es. ai vari volumi di Maria Pia Lo Duca per l’insegnamento delle categorie e delle costruzioni grammaticali,[8] o, a un livello più teorico, alla serie Grammatica tradizionale e linguistica moderna, diretta da Giorgio Graffi, di cui sono usciti nove volumi dedicati a un inquadramento scientificamente moderno di varie categorie grammaticali – e a molte altri lavori. Sullo scarso impatto che queste opere sembrano avere sulla pratica dell’insegnamento ritorno brevemente più sotto.
Un punto in cui l’analogia con l’insegnamento della fisica potrebbe sembrare non funzionare è che mentre in fisica abbiamo un paradigma ben consolidato (almeno per quello che entra nell’insegnamento scolastico), non si può dire la stessa cosa della linguistica moderna, frammentata in approcci e scuole diverse e spesso divergenti. Ma come i volumi della serie appena citata mostrano, sulle nozioni fondamentali rilevanti per l’insegnamento (per es. il concetto di sintagma, la definizione di soggetto, ecc.) esiste un sostanziale accordo, un fondo comune che non solo permette il dialogo tra le varie correnti di ricerca, ma può senz’altro formare la base del rinnovamento dell’insegnamento della grammatica.
E veniamo ora al “che cosa insegnare?”. Per questo dobbiamo tenere presente un punto importante: che i discenti hanno una conoscenza implicita della grammatica della loro lingua, la usano cioè inconsciamente quando parlano – almeno per quello che riguarda il registro colloquiale. È su questa base che si deve costruire.
È innanzitutto necessario introdurre alcune nozioni “operative”, quei concetti cioè che ci permettono di parlare dei fatti linguistici: nome, verbo, numero (sg/pl), tempo verbale, accordo, reggenza, ecc. Più complesso è il caso delle costruzioni grammaticali perché ci sono costruzioni che i discenti “posseggono” (usano normalmente) e costruzioni che “non posseggono” (sono estranee all’uso spontaneo) – una grammatica scientifica le deve descrivere tutte perché fanno parte tutte delle potenzialità della lingua. Nella grammatica che si insegna a scuola, una trattazione delle costruzioni della lingua colloquiale è di per sé inutile (non si deve insegnare a usarle), queste sono tuttavia utili come base per apprendere le categorie e le operazioni fondamentali, per imparare a ragionare sui fatti linguistici, eventualmente anche come termini di confronto nell’apprendimento delle lingue straniere.
Prendiamo un esempio semplicissimo: la costruzione «articolo + nome», come in la casa, non c’è bisogno di insegnarla, ma può servire come termine di confronto rispetto a lingue che non hanno l’articolo (russ. dom) o, all’interno dello stesso sistema, con nomi che si usano senza articolo (Piera), eventualmente in relazione a un uso colloquiale divergente rispetto a quello della lingua curata (la Piera/Piera); oppure si può confrontare con lingue in cui l’articolo segue invece di precedere il nome (sved. hus-et) o con lingue in cui non abbiamo accordo nei tratti grammaticali tra nome e articolo (ingl. the house/the houses vs. la casa/le case). Cioè, non è evidentemente necessario insegnare che esiste una costruzione in cui un nome è preceduto da un articolo che si accorda con il nome, ma l’analisi di questa costruzione può essere utile nell’insegnamento di un’altra lingua (russo, svedese, inglese…) o nella distinzione di un registro colloquiale rispetto al registro curato ([la] Piera) – oltre che per insegnare che cosa è un articolo e che cosa è l’accordo.
Richiedono invece una trattazione esplicita quelle costruzioni che non fanno parte dell’uso colloquiale e il cui apprendimento è legato all’uso (cioè alla comprensione e alla redazione) di testi in registri diversi. Una costruzione come quella che troviamo in la cui casa andrà spiegata, mettendola in rapporto con la sua casa per la posizione del possessivo (prima del nome) e con la casa della maestra o la casa della quale per la mancanza di preposizione e di accordo con l’antecedente.
Con Lorenzo Renzi avevamo pensato al progetto di una “grammatica di base” (sul modello dei vocabolari di base) come descrizione dell’insieme minimo delle costruzioni grammaticali che devono far parte dell’insegnamento scolastico. Ma, in base a quanto abbiamo appena visto, se questa servirebbe per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (e questa era del resto l’idea alla base di Salvi/Vanelli 1992 – v. sopra), dal punto di vista dell’insegnamento della grammatica nella scuola non ci è apparsa utile: le costruzioni grammaticali “di base” non hanno bisogno di essere insegnate, i discenti le conoscono già, anche se in maniera implicita – l’insegnamento della grammatica ha bisogno in primo luogo di metodi di analisi da applicare a quello che i parlanti sanno già, e se poi si devono insegnare anche costruzioni, queste non sono appunto quelle “di base”.
Per quello che riguarda il metodo da usare nell’insegnamento della grammatica, come ho già accennato sopra, il metodo deve essere quello induttivo, si deve partire da quello che il discente sa già, la sua conoscenza implicita della lingua, e renderlo esplicito. In casi particolari si può ricorrere al metodo contrastivo, per es. nel caso di discenti bilingui (italiano/dialetto o altra lingua): per es. per la posizione del possessivo nap. o cazone tuie vs. i tuoi calzoni, o per l’accordo: ampezzano ra cioura / ra ciouras vs. la capra / le capre, ecc. Sulle conoscenze così esplicitate si possono poi costruire nuove conoscenze: su la sua casa, per es., la cui casa, come abbiamo visto sopra.
Per finire dobbiamo discutere brevemente quello che è il problema più scottante in relazione all’insegnamento della grammatica nella scuola: se sappiamo perfettamente quello che si deve fare, perché non si fa? Cioè, visto che quello che ho appena detto non è una novità, ma è da molto tempo ben noto agli esperti di queste cose, come mai non viene applicato? (a prescindere da alcune notevoli eccezioni, in genere legate alle iniziative dei GISCEL regionali, ma che rimangono appunto delle eccezioni). Sul tema della grammatica a scuola è intervenuto recentemente Mirko Tavoni con una serie di tre articoli pubblicati sulla rivista «Il Mulino»[9] che toccano anche il problema del perché un approccio innovativo all’insegnamento della grammatica non è riuscito ad affermarsi. Il punto essenziale, credo, è che l’università, che dovrebbe (anche) preparare i futuri insegnanti, in genere non prepara gli studenti non dico a insegnare la grammatica, ma neanche allo studio della grammatica. Accanto alla glottologia (= linguistica storica) e alla filologia romanza (= linguistica storica, ma soprattutto letteratura) della tradizione abbiamo oggi anche corsi di Linguistica generale o Istituzioni di linguistica, ma la parte dedicata alla grammatica è in genere molto ridotta o addirittura nulla; e se il corso dedica una parte anche notevole a problemi grammaticali, spesso il punto di vista è molto teorico.[10] Così, alla fine dei suoi studi universitari, lo studente futuro insegnante ha sentito poco o niente di grammatica, e in uno solo dei corsi che ha dovuto seguire; o se anche il corso era dedicato a problemi grammaticali, si sarà trattato di problemi molto specifici, trattati dal punto di vista di una teoria particolare. Andando poi a insegnare nella scuola e dovendo insegnare anche grammatica, alla fine non troverà di meglio che rispolverare quello che avevano insegnato (male) a lui per propinarlo alla nuova generazione. Per intenderci: all’insegnante di fisica hanno insegnato (per più anni) che cos’è la fisica, e quando andrà a insegnare, saprà che cosa deve insegnare – nella preparazione dell’insegnante di italiano l’insegnamento della grammatica (se c’è) rappresenta una parte sproporzionatamente piccola della sua preparazione in rapporto a quello che deve insegnare, e non essendo stato adeguatamente preparato all’università, utilizzerà quello che gli era stato insegnato a scuola. Se questa catena di ripetizioni deve essere spezzata, è prima di tutto l’università che deve farlo, fornendo ai futuri insegnanti una preparazione adeguata ai loro compiti.
Riferimenti bibliografici
Colombo, Adriano/Graffi, Giorgio (2017), Capire la grammatica. Il contributo della linguistica, Roma, Carocci.
Lo Duca, Maria G. (1997), Esperimenti grammaticali. Riflessioni e proposte sull’insegnamento della grammatica dell’italiano, Firenze, La Nuova Italia (nuova ed. aggiornata: Roma, Carocci, 2004).
Perini, Mário A. (1995), Gramática descritiva do português, São Paulo, Ática.
Perini, Mário A. (1997), Sofrendo a gramática, São Paulo, Ática.
Renzi, Lorenzo/Salvi, Giampaolo/Cardinaletti, Anna (1988–1995), Grande grammatica italiana di consultazione, 3 voll., Bologna, Il Mulino (2. ed.: 2001, 3. ed.: Limena, libreriauniversitaria.it).
Salvi, Giampaolo (1988), Italiano: Sintassi, in: Lexikon der Romanistischen Linguistik, hrsg. von Günter Holtus/Michael Metzeltin/Christian Schmitt, Band IV, 112–132.
Salvi, Giampaolo/Vanelli, Laura (1992), Grammatica essenziale di riferimento della lingua italiana, Firenze, Le Monnier.
Salvi, Giampaolo/Vanelli, Laura (2004), Nuova grammatica italiana, Bologna, Il Mulino.
Schneider, Stefan/Salvi, Giampaolo/Garzonio, Jacopo (a cura di) (2021), La descrizione grammaticale dell’italiano. Parte 1 – Problemi generali e italiano moderno, «Storie e linguaggi» 7/2, VII-XV e 1-263.
Schneider, Stefan/Salvi, Giampaolo/Garzonio, Jacopo (a cura di) (2022), La descrizione grammaticale dell’italiano. Parte 2 – Dall’italiano antico all’italiano moderno, «Storie e linguaggi» 8/1, VII-XI e 1-257.
Tavoni, Mirko (2024), La grammatica a scuola serve?, «Il Mulino», online: https://www.rivistailmulino.it/a/la-grammatica-a-scuola-serve-1 https://www.rivistailmulino.it/a/la-grammatica-a-scuola-serve-2 https://www.rivistailmulino.it/a/la-grammatica-a-scuola-serve-2
Vanelli, Laura (1988), Italiano: Morfosintassi, in: Lexikon der Romanistischen Linguistik, hrsg. von Günter Holtus/Michael Metzeltin/Christian Schmitt, Band IV, 94–112.
[1] Colombo/Graffi 2017.
[2] Renzi/Salvi/Cardinaletti 1988-1995 (22001, 32022).
[3] Dopo trent’anni passati dal completamento dell’opera, si è fatta urgente la necessità di una nuova edizione che tenga conto sia delle nuove acquisizioni teoriche nello studio della grammatica, sia dell’ampiamento dei dati reso possibile dai nuovi, ampi corpora informatizzati, come è venuto fuori anche da un incontro organizzato a Padova nel 2020 per fare il punto sulla questione, e i cui atti sono stati pubblicati in Schneider/Salvi/Garzonio (2021) e (2022).
[4] Salvi/Vanelli 1992 e 2004.
[5] Come erano descrizioni scientifiche anche i due articoli del Lexikon der romanistischen Linguistik (Vanelli 1988 e Salvi 1988) dalla cui rielaborazione era nata la prima versione dell’opera.
[6] Perini 1995, 27–34.
[7] Perini 1997, 47–56.
[8] A partire da Lo Duca (1997, 22004).
[9] Tavoni 2024.
[10] Purtroppo l’interdetto crociano alla grammatica continua, in un certo senso, a pesare sull’insegnamento universitario della linguistica.