Dispensa I Comuni, di T. Indelli

Claudio AZZARA Dispensa I Comuni, di T. Indelli

Tommaso Indelli

I Comuni.

A partire dall’XI secolo iniziò per l’Europa un lungo periodo di crescita e sviluppo economico, sociale e demografico che è stato ribattezzato “Rinascita dell’anno Mille”. La popolazione europea, attestata agli inizi dell’XI secolo intorno ai 35 milioni, cominciò a crescere sia per l’aumento del tasso di natalità che per il calo della mortalità dovuti al miglioramento delle condizioni generali di vita, sotto il profilo alimentare e igienico-sanitario, e arrivò a sfiorare verso la fine del XIII secolo gli 80 milioni. Sotto il profilo economico si incrementò la domanda di beni agricoli e manufatti, favorendo lo sviluppo generale. Si è parlato, per l’epoca in esame, di una vera e propria “rivoluzione agricola”, causata dal miglioramento del clima – che divenne più mite, con una diminuzione delle carestie – e dall’applicazione di una serie di innovazioni tecniche come l’aratro pesante che incideva in profondità la terra destinata alla semina e l’uso del mulino ad acqua o a vento per la macinazione del grano e per altri usi industriali. La rotazione di colture sui fondi agricoli, con la semina di cereali invernali, cereali primaverili o leguminose, consentì di ridurre la porzione destinata a maggese, cioè al riposo, disponendo di maggiore quantità di risorse alimentari per ogni anno agricolo. Iniziò una fase intensa di bonifiche, dissodamento di terreni paludosi e incolti, disboscamento di vaste aree selvose per far posto a terreni agricoli e a nuovi insediamenti umani, detti borghi, molti dei quali col tempo assunsero lo status di vere e proprie città. La rifioritura delle città, dopo la lunga decadenza altomedievale, fu uno dei fenomeni più caratteristici dell’epoca. La popolazione cittadina aumentò e, con essa, le bocche da sfamare, mentre le città si cinsero di nuove mura e l’edilizia andò incontro a un vistoso sviluppo. Si diffusero palazzi, cattedrali e le grandi correnti artistiche del Romanico e del Gotico. L’incremento della popolazione cittadina fu determinato anche dall’immigrazione che dalle campagne si riversava nelle città, con aumento della forza lavoro nelle manifatture urbane gestite secondo le norme dettate dalle corporazioni, associazioni in cui ogni artigiano doveva essere obbligatoriamente inquadrato a seconda dell’attività svolta. Le corporazioni o arti emanavano norme, raccolte in statuti, in cui era disciplinata ogni singola fase della produzione, erano fissati i prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti al fine di garantirne la qualità, ma anche per scoraggiare la concorrenza tra gli operatori economici all’epoca considerata un fatto negativo. Alcune città italiane fecero del commercio e della manifattura il perno della loro prosperità come Firenze e le Repubbliche marinare di Genova, Venezia, Pisa e Amalfi. Fiorirono le attività bancarie – si pensi al banco dei Medici, a Firenze – le compagnie commerciali e si diffusero nuovi strumenti di pagamento come la moneta d’oro, la cambiale e l’assegno. Le élites cittadine, che fino all’XI secolo erano state subordinate ai vescovi o ai conti, rivendicarono piena autonomia ed entrarono in conflitto, anche violento, con i presuli che furono privati delle loro prerogative. Nacquero i comuni, enti politici a base cittadina, la cui fioritura riguardò soprattutto l’Italia settentrionale dove mancava un solido potere monarchico in grado di contenere le aspirazioni autonomistiche dei centri urbani. I comuni, al fine di accaparrarsi risorse alimentari e per ragioni di sicurezza, iniziarono a espandersi verso le campagne e a sottomettere i signori feudali che vi dimoravano, affrancando molto spesso i loro servi. L’autorità cittadina finì per estendersi per miglia e miglia al di là delle mura, nel cosiddetto contado. Il controllo progressivo esercitato dai comuni sul contado prese il nome di comitatinanza e gli abitanti delle campagne non ottennero lo status di cittadini se non dopo molti anni e dopo aver adempiuto agli obblighi fiscali e militari verso il comune. Al fine di assicurarsi il controllo politico del contado, le città favorirono anche la formazione dei “comuni rurali” che altro non erano che i villaggi cui veniva riconosciuta dalle magistrature comunali - con il rilascio di un’apposita carta di franchigia - una specifica autonomia amministrativa. Si imposero alla guida delle città nuovi magistrati, mentre i vescovi e, in misura minore, i conti, rappresentanti delle antiche strutture amministrative, persero ogni competenza e furono estromessi da ogni reale potere. Nel caso dei vescovi essi furono relegati all’esercizio delle funzioni liturgico-disciplinari, mentre i tribunali diocesani conservarono la competenza a giudicare solo in materia canonica. La classe dirigente che diede vita all’esperienza comunale, contrariamente a quanto si è a lungo pensato, non ebbe una specifica caratterizzazione borghese. Solo una parte dell’élite comunale fu composta da esercenti attività artigianali e commerciali iscritti alle corporazioni poiché, in una prima fase, fu l’aristocrazia fondiaria e cavalleresca, già legata alle autorità urbane precedenti – vescovi e conti - a rivendicare un ruolo politicamente egemone. Qualunque fosse la provenienza sociale dei membri delle nuove élites comunali, essi rimasero legati allo standard di vita dei proprietari fondiari d’origine aristocratica, detentori di castelli e poteri signorili nel contado, imbevuti di cultura cavalleresca, legati a uno stile di vita militaresco come emerge dalle numerose case-torri di cui è cosparso ancora oggi il tessuto urbano di molte città italiane. Le città, nel periodo in esame, furono al centro di importanti modifiche istituzionali e diedero vita a nuovi ordinamenti. Generalmente ogni città si componeva di un arengo che era l’assemblea dei cittadini maschi e maggiorenni, di uno o più consigli rappresentativi del popolo – preposti alla deliberazione degli statuti - e di una serie di magistrati tra cui spiccavano i consoli. I contrasti tra Guelfi e Ghibellini sostenitori, rispettivamente, del Papato e dell’Impero costrinsero i comuni ad attuare alcuni cambiamenti istituzionali. Venne istituita nel XII secolo la figura del podestà, un magistrato d’origine forestiera che con ampi poteri di polizia doveva mantenere l’ordine interno e assicurare la pace. Il podestà era generalmente un esperto di diritto ed era coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, da apposite assemblee, dette “consigli del podestà”. Salvo rari casi, non aveva poteri legislativi ma solo esecutivi e militari. Nel XIII secolo il sorgere di nuovi conflitti tra i magnati - antiche famiglie del patriziato cittadino - e il popolo - escluso dall’effettiva partecipazione alla vita politica delle città - rese necessaria un’ulteriore modifica degli ordinamenti. Fu il popolo grasso - la borghesia - a prendere il potere, estromise i magnati e fondò il “comune di popolo” al vertice del quale era il capitano del popolo, un nuovo magistrato che aveva il compito di tutelare gli interessi popolari e che si affiancò al podestà e ai consoli, magistrature che non furono mai abolite. Anche questi tentativi si rivelarono però insufficienti a garantire la pace e si dovette ricorrere a un signore, un eminente cittadino che investito di pieni poteri o di più magistrature comunali – podestà, capitano del popolo – avrebbe potuto imporre l’ordine con la forza. Si tratta del fenomeno delle signorie urbane collocabile tra il XIII e il XV secolo. Si pensi ai Medici a Firenze, ai Visconti e agli Sforza a Milano, ai Gonzaga a Mantova, agli Estensi a Ferrara, ai Montefeltro a Urbino, ai Malatesta a Rimini. Instaurata la signoria, la designazione dei principali magistrati cittadini divenne prerogativa esclusiva del signore che procedeva direttamente alla nomina o, indirettamente, attraverso raccomandazioni rivolte agli organi competenti. I signori, oltre a costituire vere e proprie dinastie, mirarono anche a consolidare la loro posizione istituzionale con altisonanti titoli onorifici - vicario, duca, marchese, conte – concessi dalle supreme e universali autorità politiche dell’Europa medievale: l’Impero e il Papato. In tal modo, fu definitivamente esautorata la forma di governo comunale e presero vita dei veri e propri principati che sancirono la trasformazione dei cittadini in sudditi. Il potere signorile, almeno teoricamente, rimase subordinato alla legge e al vincolo del perseguimento del bene pubblico, al fine di evitare di essere giudicato tirannico e rischiare l’esautorazione. Tra le figure più emblematiche di signori si ricordino Cangrande della Scala (1311-1329) a Verona, Gian Galeazzo Visconti (1385-1402) e Francesco Sforza (1450-1466) a Milano, Lorenzo de’ Medici (1469-1492) a Firenze, Federico da Montefeltro (1444-1482) a Urbino, e Sigismondo Pandolfo Malatesta (1427-1468) a Rimini. Con le signorie aumentò l’endemica conflittualità tra le città italiane e, proseguendo la politica dei comuni verso il contado, si ampliarono ancora di più i territori delle città, dando vita a veri e propri stati regionali come il ducato di Milano e il marchesato di Mantova. Alla fine del XIV secolo Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, tentò di ricostruire il regno longobardo e dopo aver conquistato il Piemonte orientale, la Lombardia e parte del Veneto si spinse in Emilia, annettendo anche parti considerevoli della Toscana e dell’Umbria. Questa politica espansionistica proseguita dal figlio di Gian Galeazzo, Filippo Maria Visconti (1412-1447), e dal genero di questi Francesco Sforza, generò i timori di Firenze e Venezia che si coalizzarono contro il ducato milanese. Seguirono anni di guerre e solo con la pace di Lodi, siglata tra gli stati italiani il 9 aprile del 1454, fu possibile arrivare a una sorta di equilibrio politico. I regimi signorili favorirono l’affermazione dei condottieri, comandanti delle famigerate compagnie di ventura, formazioni militari composte da mercenari che prestavano servizio al migliore offerente. I condottieri erano così denominati perché vendevano i loro servigi in cambio della condotta, un contratto siglato tra il condottiero e il signore in cui erano disciplinate le condizioni d’ingaggio dei militari, ossia tempi e luoghi del servizio e modalità di pagamento. Le condotte erano a termine e in genere rinnovabili. Quando i soldati restavano senza far nulla, nell’intervallo tra una condotta e l’altra, diventavano estremamente pericolosi e si dedicavano alla sistematica spoliazione dei territori dov’erano stanziati. Tra i condottieri più noti si ricordino Francesco Bussone – il “Carmagnola” – Erasmo da Narni – il “Gattamelata” – Gentile da Leonessa e Bartolomeo Colleoni. Le Repubbliche marinare di Genova, Venezia, Pisa e Amalfi ebbero ordinamenti particolari. Governate da aristocrazie mercantili che eleggevano i propri rappresentanti nei consigli cittadini e nelle magistrature, al vertice delle loro istituzioni avevano il doge, magistrato con poteri supremi di direzione politica e comando militare. Le Repubbliche non conobbero il fenomeno delle signorie cittadine ma alla fine del XIII secolo iniziarono a promulgare norme sempre più restrittive per l’accesso ai consigli e alle magistrature che fu limitato attraverso il ricorso alla cooptazione e alla trasmissione ereditaria delle cariche. Venezia nel 1297 fu una delle prime città ad agire in tal senso con la “Serrata del Maggior Consiglio”, un provvedimento che riservò l’accesso al principale consiglio cittadino alle famiglie dei nobili che ne avessero fatto parte nei quattro anni precedenti. Lo sviluppo dei traffici e della manifattura comportò anche una maggiore necessità di cultura, pertanto il saper leggere, scrivere e far di conto divenne una necessità che non poteva essere soddisfatta dalle antiche scuole monastiche e vescovili finalizzate alla formazione del clero. I comuni, perciò, istituirono scuole pubbliche con personale docente pagato dal fisco cittadino mentre nascevano anche le università. Il mondo dell’istruzione andò progressivamente laicizzandosi e ciò rappresentò un grande punto di svolta rispetto alla cultura fiorita fino a quel momento in Europa. Tale cultura fu definita “Scolastica” perché formatasi nelle scuole cattedrali o monastiche dove insegnavano docenti detti scholastici. Per quanto priva di sostanziale uniformità speculativa, la Scolastica era un indirizzo di studi prevalentemente teologico-filosofico, basato sull’elaborazione razionale delle tematiche religiose condotta con l’ausilio di strumenti logici del pensiero platonico e aristotelico, filtrati dalla filosofia araba di Avicenna e Averroè. La prima università fondata in Europa, secondo la tradizione, fu quella di Bologna intorno al 1088. Le università erano enti associativi – detti anche Studia – composti da studenti e docenti che concordavano liberamente le materie d’insegnamento, i corsi, il calendario delle lezioni e il pagamento degli onorari ai professori. Ben presto esse si diedero strutture sempre più complesse e proprie magistrature - il rettore e il cancelliere - e iniziarono a emanare statuti ossia propri atti normativi. Le città le posero sotto la loro tutela riservandosi la nomina di alcuni magistrati e dei docenti ma anche il controllo della loro organizzazione che venne finanziata con danaro pubblico. Ben presto anche i re e gli imperatori intervennero a disciplinare il fenomeno, istituendo università pubbliche. Una delle prime fu lo Studium di Napoli, specializzato nell’insegnamento giuridico, fondato nel 1224 dall’imperatore tedesco Federico II. I principali corsi di studio riguardarono le arti liberali, la giurisprudenza e la teologia. Le arti liberali erano suddivise in arti del trivio - retorica, grammatica, logica – e arti del quadrivio, matematica, astronomia, geometria, musica. La licenza nelle arti liberali era prodromica per l’iscrizione agli altri corsi di laurea. Al termine di ogni corso, dopo un attento esame da parte del collegio dei docenti, il candidato promosso otteneva il titolo di doctor o magister.

Per approfondire:

  1. Cherubini, Le città europee del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano 2009.
  2. Gatto, L’Italia dei comuni e delle signorie, Newton & Compton, Roma 1996.
  3. Occhipinti, L’Italia dei comuni. Secoli XI-XIII, Carocci, Roma 2000.